
Articolo a cura della Dott.ssa Susanna Bramante, Agronomo PhD in Produzioni Animali, Consulente della Nutrizione e Divulgatrice Scientifica
Quanto inquinano davvero gli allevamenti? Oggi calcoli più precisi e accurati stanno sostituendo le stime approssimative del passato che attribuivano alla zootecnia una responsabilità troppo grande. Non solo secondo le ultime stime FAO, ma anche le stime dell’EPA hanno calcolato che solamente il 3,9% delle emissioni negli Stati Uniti è dovuto al bestiame, contro il 20% proveniente dall’industria, il 28% dall’elettricità e il 28% dai trasporti.
Esistono dunque altre realtà che inquinano in misura assai maggiore, ma delle quali nessuno parla: basti pensare alle discariche e ai giacimenti petroliferi, che generano quantità molto più alte di metano, come anche le naturali paludi e oceani, oppure le risaie, per produrre un alimento che è praticamente alla base della dieta per alcune popolazioni.
Addirittura le perdite dovute ai processi di estrazione del petrolio sono calcolate in circa tredici milioni di tonnellate di metano che vengono riversate in atmosfera, cioè il doppio del metano rilasciato ogni anno dalle vacche allevate in tutto il mondo.

Ma anche dai calcoli delle emissioni del passato emerge che non sono gli allevamenti la causa principale di inquinamento e del riscaldamento globale: infatti gli 80 milioni di bisonti selvatici che vivevano sulle Grandi Pianure, numeri vicini ai 90 milioni di bovini da carne oggi allevati negli Stati Uniti e le 150 specie di mega fauna del Pleistocene, come mammut, grandi felini, bradipi giganti e orsi molto più grandi di quelli odierni, producevano emissioni di metano vicine a quelle emesse oggi dai bovini in allevamento. Per questo motivo l’accumulo di gas serrigeni oggi deriva per forza da altre attività umane e non può essere imputato principalmente alla presenza degli erbivori zootecnici.
Un altro aspetto che non viene considerato è che il sistema agro-silvo-zootecnico italiano assorbe ogni anno più di 29 milioni di tonnellate di CO2 a fronte di una emissione di 22 milioni di tonnellate: questo vuol dire che la zootecnia italiana oltre a non impattare sul clima è per di più in credito di carbonio, pari a circa 7 milioni di tonnellate di CO2.
Secondo la FAO infatti, le foreste coprono oggi il 46% dell’area del nostro continente e le superfici protette sono il 13% del territorio. Dunque in Europa agricoltura, zootecnia e silvicoltura sequestrano una quantità di CO2 pari a 550 milioni di tonnellate, quantitativo enorme che continua a crescere. È costante anche l’impegno a ridurre sempre di più l’impronta di carbonio con varie strategie, che hanno già portato ad una riduzione delle emissioni del settore agro-silvo-zootecnico europeo del 20%.
Ad esempio è degno di nota il progetto LIFE BEEF CARBON, in cui 170 allevatori di bovini da carne di Francia, Irlanda, Italia e Spagna hanno aderito per ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 15% entro dieci anni, migliorando il benessere degli animali, aumentando le energie rinnovabili, riducendo l’impiego di fertilizzanti sintetici e aumentando le prestazioni degli animali.

Infatti l’adeguamento delle strutture di produzione, la diffusione di pratiche sanitarie più efficaci con più controlli sulla salute degli animali, l’automazione e l’affermarsi di modelli di gestione più integrati e funzionali ha consentito di ridurre il fabbisogno di terra complessivo per il bestiame del 20%, raddoppiando al tempo stesso la produzione di carne. In questo modo le emissioni di CO2 per proteina prodotta sono passate dagli oltre 25 kg degli anni ’60 a meno della metà nel 2015, riducendo anche l’emissione di ammoniaca per kg di proteina animale.
Soluzioni alternative, come pensare di convertire il pianeta verso un’alimentazione esclusivamente vegetale, oppure verso cibi artificiali creati in laboratorio, non sono migliori né per la salute, né dal punto di vista ambientale, anzi al contrario, servirebbero più terre per la coltivazione di alimenti di basso valore nutrizionale, oppure nel caso della carne sintetica genererebbero emissioni di CO2 maggiori, senza alcun vantaggio nel risolvere il problema dei cambiamenti climatici.
La produzione di carne della filiera AmicOmega è a questo proposito un esempio virtuoso, in quanto grazie a tecniche moderne di “precision feeding”, si è in grado di ridurre significativamente l’emissione endogena di metano dei ruminanti e lo spreco di nutrienti, migliorando la sostenibilità ambientale degli allevamenti.
Produrre di più inquinando di meno e utilizzando meno risorse: è questa la vera ricetta della sostenibilità. E la filiera AmicOmega ne è un esempio da seguire.
Dott.ssa Susanna Bramante
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